Thursday, August 20, 2015

Cronaca di un viaggio intorno al lago Lugu


Il lago Lugu e’ un posto di cui forse non avrete mai sentito parlare. Sospeso tra le province dello Yunnan e del Sichuan, nella Cina sud-occidentale, alle pendici dell’altopiano Tibetano, questo lago rappresenta il centro dell’universo per un piccolo popolo che abita le sue rive, di cui probabilmente avrete sentito parlare ancora meno.

I Mosuo sono un popolo di 40,000 anime, una delle tante minoranze non-Cinesi (ma questo non ditelo ai Cinesi! Per loro si tratta di “minoranze etniche, parte integrante della grande famiglia felice di 56 etnie che insieme compongono la Cina”) che vivono in queste remote zone montuose, storico crocevia tra la Cina vera e propria, il Tibet ed il Sud-Est Asiatico. Questa etnia in particolare e’ diventata famosa in Cina perche’ la loro cultura presenta alcuni aspetti curiosi: tanto per iniziare, la societa’ Mosuo e’ tutt’oggi matriarcale. In altre parole, comandano le donne.

Come se non bastasse, i Mosuo non praticano matrimoni veri e propri. Invece, regna una tradizione che viene tradotta dai Cinesi come “il matrimonio a piedi”: quando ad una donna piace un uomo, puo’ invitarlo a passare la notte nella sua capanna. Il mattino dopo, l’uomo tornera’ a casa sua. Queste relazioni “notturne” possono durare per anni o anche per sempre. I figli vengono accuditi dalla madre e dalla sua famiglia, e non hanno rapporti con il padre. La struttura familiale dei Mosuo e’ stata definita da un antropologo “un fossile vivente per lo studio della storia delle relazione maritali negli esseri umani”.

Ho visitato il lago Lugu nell’aprile di quest’anno, durante una gita nella Cina Sud-Occidentale. Per arrivare al lago, io e la mia compagna di viaggio prendiamo un minibus privato che parte da Lijiang, una citta’ dello Yunnan. Per raggiungere il lago non c’e’ altro modo se non farsi cinque ore di viaggio su serpeggianti stradine di montagna, ad altitudini che arrivano oltre i 2000 metri. I passegeri del nostro minibus (tutti turisti Cinesi, ed un paio di Singaporesi) si dividono tra chi soffre il mal d’auto e chi patisce l’altitudine e la mancanza di ossigeno. Io rientro nella prima categoria. Di quando in quando ci fermiamo in qualche piccola stazione di sosta, muniti di bagni disgustosi come sanno esserlo solo i bagni pubblici della Cina piu’ profonda.

Mano a mano che avanziamo, il paesaggio riporta sempre di piu’ alle lande desolate dell’altopiano Tibetano, e sempre meno alla Cina vera e propria. Ai bordi delle strade si notano tumuli di pietre Mani, le pietre piatte sulle quali i devoti del Buddismo Tibetano iscrivono il famoso mantra, “om mani padme hum” ("il gioiello nel fiore di loto"). Le popolazioni di questi luoghi, seppur non Tibetani, seguono da secoli la versione del Buddismo originaria del Tibet, quella dei Lama.

Dopo ore di viaggio, arriviamo finalmente a scorgere da lontano il famoso lago Lugu. Un bel panorama, non c’e’ che dire. Il lago si trova in una valle in mezzo alle montagne. E’ molto grosso (50 km. quadrati), e conta diverse isole al suo interno. I Mosuo e gli alti popoli che abitano sulle sue rive lo considerano sacro, e pensano sia tabu’ uccidere gli animali o tagliare gli alberi sulle sue rive. Dopo un altra mezz’ora di viaggio, giungiamo finalmente a destinazione: il villaggio di Lushui, sulle rive del lago.

Purtroppo in Cina sono finiti da un pezzo i tempi in cui il viaggiatore straniero poteva godersi i posti piu’ affascinanti in perfetta solitudine. Gia’ da qualche decina di anni, in Cina e’ esploso il turismo interno. Sono ormai centinaia di milioni i Cinesi che possono permettersi di viaggiare almeno all’interno del loro smisurato paese, se non all’estero.

Il lago Lugu non e’ stato risparmiato dal turismo. Ad attirare i forestieri sono le curiose tradizioni matriarcali dei Mosuo, e soprattutto i loro matrimoni consumati solo di notte, che per i Cinesi sembrano rappresentare una sorta di promiscuita’ sessuale lontana dal loro relativo puritanesimo. Il problema e’ che i turisti Cinesi in genere hanno una capacita’ di distinguere le esperienze culturali autentiche dal kitsch turistico pari allo zero. O perlomeno pari a quello delle prime turbe di turisti Occidentali degli anni cinquanta, che andavano in Africa e pretendevano di vedere indigeni che danzavano in gonnellino. Del resto la parola “kitsch” e’ intraducibile in Cinese. Questa mancanza di gusto, unita all’enorme popolazione Cinese, significa che non appena un posto viene “scoperto” dal turismo interno, diventa ben presto un carrozzone pieno di immense masse di visitatori che rovinano con la loro presenza quell’atmosfera speciale che sono venuti a cercare.

La serenita’ del lago Lugu e’ in parte protetta dal fatto che il luogo e’ difficile da raggiungere, ma nulla puo’ frenare completamente le orde di turisti Cinesi. Il vilaggio in cui decidiamo malauguratamente di passare la notte, Lushui, purtroppo e’ il piu’ turistico di tutti quelli che circondano il lago, anche se all’inizio non lo sapevamo. Le due strade affacciate sul lago sono interamente dedicate al turismo, e consistono solo di ostelli, alberghetti, negozi di artigianato locale e ristoranti. Soltanto il secondo giorno, scopriamo che gli abitanti originari vivono in un altro quartiere piu’ lontano dal lago. Buona parte dei visitatori sono studenti universitari Cinesi, venuti dalle citta’ piu’ vicine. Con se’ portano la mentalita’ terribilmente materialista della Cina urbana di oggi. La gente del posto lavora quasi interamente nel settore turistico, dove viene giocoforza influenzata dalla mentalita’ dei visitatori.  

L’ostello in cui decidiamo di passare la notte si rivela un tugurio senza rimedio. La struttura e’ diretta da due Cinesi, non del luogo ma di fuori, una ragazza giovane ed un uomo piu’ anziano. Questi due tipi hanno in comune uno sguardo acido ed un modo di fare talmente sgarbato, che sembra considerino una tua colpa il fatto di aver deciso di essere loro ospite a pagamento. Per di piu’, ogni giorno l’elettricita’ viene spenta in tutto il paese dalle nove di mattino alle sette di sera, perche’ le autorita’ stanno ricostruendo la linea elettrica. Prendiamo cosi’ mestamente alloggio in una modesta camera senza luce, mentre fuori piove e fa’ abbastanza freddo, intorno ai 10 gradi.

Ci rifugiamo nella lobby, che e’ arredata come in tutti gli ostelli del mondo, con libri lasciati da altri viaggiatori, alcuni computer, dei divani e dei tavoli. Il problema pero’ e’ che i divani e l’intera stanza si rivelano del tutto luridi. Colpa dell’enorme cane nero, appartenente ai proprietari, che passa tutto il giorno oziando sui divani. Il cane e’ amichevole, ma perennemente coperto da un nugolo di mosche, ed i divani sembrano non essere stati lavati da anni. Come se non bastasse, veniamo informati che l’ostello non ha un servizio di lavaggio vestiti. In un qualsiasi paese Occidentale, dubito molto che un posto simile potrebbe sopravvivere a lungo. Anzi, forse verrebbe chiuso di forza dalle autorita’. In Cina pero’ la gente fa’ buon viso a tutto. Per viaggiare nella Cina profonda bisogna avere la pazienza di un santo, prendere le cose con filosofia, e saper trovare la bellezza ovunque si annidi.

Ci sediamo su alcuni divani leggermente meno sporchi, e facciamo amicizia con una giovane coppia Israeliana, gli unici altri viaggiatori stranieri che abbiamo incontrato nell’ostello ed in tutta la regione. Il ragazzo ci dice che stanno viaggiando per la Cina, dopo aver completato il servizio militare obbligatorio per tutti gli Israeliani. Per venire in un posto simile senza parlare una parola di Cinese ci vuole un bel coraggio, mi trovo a pensare.

Quella sera usciamo a fare una passeggiata in riva al lago. Nonostante i turisti, un’po’ di vera cultura locale e’ ancora in evidenza. In riva al lago c’e’ un grande cumolo di pietre Mani, intorno al quale girano pregando in senso orario (come vuole la tradizione) le anziane delle minoranze locali, coperte dai colorati abiti tradizionali ancora in voga tra le donne in queste zone della Cina. Inoltre c’e’ un imponente Yak, animale simbolo del Tibet, legato in riva al lago. Le aque del lago sono limpide e chiare, ed in cielo si vedono le stelle, cosa che a Pechino non succede praticamente mai. Quella sera mangiamo un buon hot pot in un ristorante locale, e poi andiamo all’unico locale notturno del paese, ovviamente provvisto di karaoke, dove entusiasmo tutti i presenti cantando qualche successo Cinese.

Quella sera, tornata l’elettricita’, usiamo un’po’ i computer nella lobby dell’ostello per controllare la email. Mentre sto’ leggendo la mia email, all’improvviso un ragno molto ma molto grosso esce correndo da sotto il computer di Ting Ting, seduta accanto a me, facendoci prendere uno spavento ad entrambi. Dopo un’po’ torniamo nella nostra fredda camera, e ci buttiamo sotto le coperte.

Il giorno dopo incomincia meglio. Pur essedoci svegliati dopo le nove, quindi senza elettricita’ ne’ acqua calda e senza poter fare la doccia, siamo impazienti di esplorare il lago. Almeno la pioggia e’ cessata. Decidiamo di fare il giro del lago, un viaggio di 56 km. I Mosuo una volta all’anno girano intorno al lago a piedi in una sorta di pellegrinaggio, fermandosi a tutti i templi e gli stupa che ci sono lungo la strada. Ovviamente il giro deve svolgersi in senso orario, come vuole la tradizione Buddista.

Non avendo la devozione ne’ il tempo di farcela a piedi, decidiamo di affittare un bici elettrica. In Cina le bici elettriche sono ovunque, come un equivalente pulito ed economico dei motorini in Italia. In riva al lago e’ pieno di negozi che le affittano. L’unico problema e’ che nessuno di essi metteva a disposizione anche dei caschi. La gente del posto e’ convinta che per andare sullle bici elettriche il casco non serve, anche se arrivano a 60 all’ora. Dopo esserci convinti che non si trovi un solo casco nell’intero paese, decidiamo a malincuore di farne a meno. Affittiamo una sola moto, guidata da me con Ting Ting seduta dietro. Il clima e’ freddo e piovoso, e prima di partire compro una giacca di quelle che usano la gente del posto. La giacca e’ imbottita di lana di pecora, ed emette una tale puzza di pecora che non me la sono mai piu’ potuta mettere. 
Per girare intorno al lago serve una giornata intera. Iniziamo quindi il giro, guidando su delle stradine sopraelevate da cui si scorge un bellissimo panorama. Passiamo per alcuni altri villaggi molto turistici, o che si apprestano a diventarlo. In ognuno di essi ci sono muratori che costruiscono edifici nuovi, pronti a trasformarsi in alberghi e ristoranti. Il passato di questi luoghi viene cosi’ sotterrato, con quella velocita’ e quell’indifferenza che ai Cinesi riesce come a nessun altro. Dopo qualche chilometro, lentamente, l’atmosfera inizia a farsi meno turistica. Ci fermiamo a mangiare in un vilaggio gia’ molto meno trafficato e commercializzato rispetto ai precedenti. Anche se ci sono alcuni ostelli, il villaggio sembra ancora appartenere alla gente del luogo, anziche’ ai turisti. In riva al lago la facciamo conoscenza di un giovane del posto. Dai lineamenti e dall’accento con cui parla il Cinese, e’ evidente la sua appartenenza al popolo Mosuo.

Il giovane si accorge del nostro reale interesse per la sua cultura, cosa rara nella maggior parte dei visitatori, e si offre di portarci a vedere la casa della sua famiglia. La loro casa, ci dice, e’ un autentico edificio antico vecchio di alcuni secoli, ora protetto dalla legge. Passiamo per una stradina piena di maiali (nelle campagne Cinesi non mancano mai), ed arriviamo alla sua casa, che effettivamente si rivela interessante. Lo zio del giovane ci accoglie nel cortile tradizionale dell’abitazione. Sono in evidenza dei cadaveri di maiali preservati interi ed all’aperto per essere mangiati, secondo la tradizione locale; la carcassa di un cervo appeso alla parete; ed anche un filatoio, dove si tessono i vestiti colorati indossati dalle donne del luogo. Tra di loro la famiglia comunica nella lingua dei Mosuo, che con il Cinese non ha nulla a che vedere. Con noi parlano in un Cinese non certo perfetto, ma comprensibile. 

Il nostro amico ci porta dentro ad una stanza buia e dall’aspetto antico, e ci informa con fierezza che e’ stata costruita alcuni secoli fa’ in legno pregiato. In Italia l’idea di vivere in una casa vecchia di alcuni secoli non e’ poi cosi’ strana. In Cina, pero’, e’ una cosa estremamente rara. Un’po’ perche’ i Cinesi hanno spesso costruito le loro case in legno, ed un’po’ perche’ durante gli ultimi decenni buona parte degli edifici piu’ vecchi sono stati spazzati via dall’aggressiva e distruttiva modernizzazione del paese.

All’interno della stanza mi colpiscono i bei Thangka appesi alla parete. Poi noto un immagine del Dalai Lama. In Tibet la raffigurazione e la venerazione del Dalai Lama sono ufficialmente vietati, e la stampa governativa Cinese continua a condannare il vecchio monaco come “un lupo travestito da agnello” ed un “secessionista senza scrupoli”. In queste zone pero’ la venerazione per la figura del Dalai Lama rimane profonda, dopo ben 56 anni dalla sua precipitosa fuga in India.  

Dopo esserci congedati da questa amichevole famiglia locale, proseguiamo il nostro giro del lago. Oltrepassato il confine con il Sichuan, l’atmosfera cambia completamente. Le strade si fanno migliori (il Sichuan e’ una provincia piu’ ricca dello Yunnan), e la presenza turistica e’ quasi azzerata. La strada abbandona il lago e ci porta nell’entroterra. Attraversiamo piccoli vilaggi pieni di donne vestite in abiti tradizionali, che chiacchierano allegramente sull’orlo della strada, accovacciate alla maniera Cinese. Chissa’ perche’ tra le minoranze etniche della Cina sono sempre e solo le donne che continuano a portare i vestiti tradizionali, mentre gli uomini si vestono in modo moderno. La gente di questi luoghi appare sempre assai piu’ felice e rilassata degli abitanti delle grandi citta’ Cinesi, stressati e vessati.

Ci fermiamo a prelevare del denaro in una cittadina che deve essere il capoluogo della contea. Come in molte cittadine della Cina Occidentale, la strada principale rimanda ad un film Western. Noto un ufficio governativo il cui nome e’ scritto sia in Cinese che nella lingua Yi, che in questa contea e’ in teoria co-ufficiale con il Cinese. Il governo Cinese designa le zone con molti appartenenti alle minoranze etniche come “regioni autonome”, ed alle lingue locali vengono dati dei crismi di ufficialita’ (anche se poi tutto quello che conta veramente e’ in Cinese). 

La strada torna alla riva del lago, e ci riporta nello Yunnan. Poco prima del nostro ritorno inizia a piovere, per fortuna non troppo forte. Mi copro con la mia giacca imbottita di lana di pecora e riesco comunque a finire il giro del lago e riportarci a Lushui, nel buio e sotto la pioggia, dopo almeno otto ore dalla partenza. Quella sera andiamo a vedere uno show di danze tradizionali eseguite dalla gente del posto, che come avevo gia’ previsto non si rivela un granche’. Si tratta di uno spaccato della cultura locale, ma preconfenzionato per i turisti Cinesi. La troupe consiste di una cinquantina di giovani, probabilmente tutti quelli del paese, che hanno scoperto che vestirsi nei costumi dei loro nonni e mettersi a ballare per i turisti rende molto di piu’ che lavorare la terra o fare i manovali.


Accanto a noi siede una giovane coppia della provincia dell’Henan, che quando mi sentono parlare Cinese si sorprendono moltissimo e vogliono chiacchierare con me. Il loro entusiasmo e’ quasi travolgente. Vengono dalla Cina profonda, ed e’ improbabile che abbiano mai incontrato uno straniero che parlasse Cinese prima di ora. Anzi, forse non hanno mai incontrato uno straniero e basta. Per i loro gusti un’po’ meno sofisticati dei miei, lo spettacolo va’ benissimo. Prima di ridere dei turisti Cinesi e dei loro gusti un’po’ pacchiani, bisogna ricordare che parliamo di persone che non sono mai state all’estero, e che i loro genitori non sapevano nemmeno cosa fosse il turismo. Comunque riusciamo a malapena a scrollarci di dosso la coppia e tornare in ostello.

Il mattino dopo ripartiamo verso Lijiang, sapendo che ci aspettano altre cinque ore di stradine di montagna e mal d’auto prima di arrivare a destinazione. L’autista ci fa’ sapere che fra qualche anno verra’ terminata una nuova autostrada che permettera’ di arrivare al lago Lugu con molta piu’ facilita’. Se da un lato credo che il progresso sia sempre una cosa postitiva, dall’altro tremo al solo pensiero di quello che ne sara' del lago dopo che verra’ ultimata l’autostrada. Quel poco di cultura tradizionale che rimane rischia di venire spazzato via dalle orde di turisti ancora piu’ numerosi.

Non che adesso sia molto meglio, in verita’. Se c’e’ una cosa che mi e’ rimasta impressa di questo breve viaggio, e' la commercializzazione selvaggia che sta' trasformando il carattere di molti villaggi in riva al lago. Probabilmente voler fare esperienza della cultura Mosuo in un viaggio di due giorni sarebbe stato comunque arduo, ma la necessita' di sfuggire alla massa turistica non ha certo aiutato. Detto questo, le zone rurali piu' lontane dalla riva sembrano ancora non essere state prese d'assalto dal turismo di massa Cinese. Le anziane donne che camminano intorno al lago salmodiando preghiere Tibetane sono la testimonianza di una cultura locale ancora viva. Ed al centro della valle, il lago Lugu rimane intatto e sereno come lo e' sempre stato.

4 comments:

  1. Very interesting article. I liked your closing sentence!

    This wasn't the time when you visited the Dalai Lama's birthplace?

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    1. No, that was in Qinghai. This was in Yunnan, last April. In spite of the locals following Tibetan Buddhism, they are not Tibetans.

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    2. Io credo che il Dalai Lama sia un vecchio lupo vestito da agnello e finanziato dalla CIA. La cosa suona incredibilmente retro, ma e' vera.

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    3. Nell'articolo mi sono esentato dal discutere la mia opinione, ma per conoscere la mia posizione andate a vedere il mio post sul Tibet.

      Seriamente, e' innegabile che negli anni cinquanta la CIA incoraggio' le ribellioni Tibetane contro' l'autorita' Cinese, addestrando i ribelli nelle loro basi Indiane. Queste ribellioni portarono alla sollevazione generale del 1959 ed alla fuga del Dalai Lama. A quanto pare gli Americani fecero credere ai ribelli Tibetani che ben presto li avrebbero aiutati a liberare militarmente il Tibet. Soltanto quando Nixon ristabili' i rapporti diplomatici con la Cina negli anni settanta, i Tibetani capirono di essere stati illusi.

      Al giorno d'oggi gli Stati Uniti sembrano aver rinunciato a sostenere i Tibetani se non a parole. Del resto e' una causa persa.

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